giovedì 10 aprile 2014

IL DIVIETO DI INSEMINAZIONE ASSISTITA ETEROLOGA E' INCOSTITUZIONALE

 foto tratta da inernet
 Finalmente la Corte Costituzionale ha dato l'ultimo e definitivo colpo di grazia alla Legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita.
Che fosse una legge insulsa, retriva e profondamente ingiusta, con riferimento al divieto di inseminazione eterologa, dovrebbe essere del tutto evidente a chiunque abbia una minima sensibilità etica-giuridica e utilizzi le funzioni e le sinapsi logiche del cervello senza il filtro del "confessionale".
Posso infatti comprendere che si possa ritenere che il congelamento, l'inutilizzazione e quindi il successivo deperimento degli embrioni fecondati,  strida con la bioetica cattolica,  ma vietare l'inseminazione eterologa in nome di principi etici imperniati sul concetto di diritto alla vita e sulla  tutela del nascituro è, a mio avviso, una perfetta idiozia prima di essere una violenza contro la libertà individuale dell'uomo.
Per fortuna, quando  la nostra classe politica (attenta solo a raccogliere consensi presso i propri elettori) legifera in modo improprio, violando i più basilari diritti dei cittadini, interviene la Consulta ponendo rimedio al mal fatto.
Peraltro che la legge in questione fosse palesemente incostituzionale e violasse  le libertà individuali, era già stato rilevato da diversi Tribunali nel corso degli ultimi dieci anni.
Non solo la Corte di Giustizia Europea aveva correttamente dichiarato  nel 2012, in relazione al divieto di eseguire lo screening sugli embrioni delle coppie portatrici di gravi patologie, che la legge 40 era in contrasto con  l'art. 8 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, risultando lesiva del diritto ivi riconosciuto al rispetto della vita privata e familiare.
Ora la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che esclude la possibilità per la coppia di avvalersi della inseminazione eterologa (con il seme di un terzo donatore).
Che cosa vi sia di contrario all'etica nel fatto che una coppia anziché adottare un bambino cerchi di averne uno utilizzando lo  sperma di un anonimo donatore, non mi è dato capirlo, né come uomo,  né come giurista. 
Affermare poi, come è stato fatto nell'immediatezza della pronuncia della Consulta, che  "con l’abolizione del divieto di fecondazione eterologa cade una delle più importanti garanzie a tutela del bambino: cade il diritto di ogni nato a crescere con i genitori naturali " è una assurdità frutto di una probabile ignoranza della legge.
Non esiste, infatti,  nel nostro ordinamento  il diritto del bambino ad essere allevato dai genitori naturali tanto è vero che a madre al momento della nascita può decidere legalmente di non riconoscere il bambino.
Altre stupidaggini si sono dette, invero, in argomento, da parte di alcuni nostri parlamentari.
I giudici della Consulta, come in altre occasioni, avrebbero reso vano il ruolo del Parlamento, facendo venir meno la volontà popolare in violazione dei principi di democrazia.
A prescindere che il nostro Parlamento molto spesso non rappresenta, nei fatti, la volontà popolare, va ricordato a questi dotti rappresentanti dei cittadini, che il ruolo della Corte Costituzionale è quello di salvaguardare la democrazia proprio dagli abusi dei parlamentari. 
La Corte Costituzionale è la più solida difesa che hanno i cittadini contro le leggi ad personam, contro leggi emanate per difendere gli interessi dei poteri forti (es. leggi salva banche), contro gli attacchi ai diritti fondamentali.
Mi domando, peraltro, come possa un parlamentare affermare che la  decisione della Consulta sia un atto  "arbitrario"; bisognerebbe far presente a quest'altro "luminare" che un organo amministrativo o giudiziario commette un atto arbitrario  quando agisce al di fuori dei poteri conferitigli dalla legge. 
Mi sentirei allora di dire "DIO SALVI LA CORTE COSTITUZIONALE" ..... anziché Dio salvi il Re.
 
Luigi Riccio
 

domenica 26 gennaio 2014

GIORNO DELLA MEMORIA 2014

 
EUGENIO  MONTALE
A LIUBA CHE PARTE (da Le Occasioni)
 
Non il grillo ma il gatto
del focolare
or ti consiglia, splendido
lare della dispersa tua famiglia.
La casa che tu rechi
con te ravvolta, gabbia o cappelliera?,
sovrasta i ciechi tempi come il flutto
arca leggera - e basta al tuo riscatto
 
Montale ha scritto questa poesia durante la sua permanenza a Firenze.
Lubia è una bambina ebrea che fugge dalla persecuzione antisemita; costretta ad abbandonare la sua casa (il focolare) porta con sé, in una gabbietta,  un gattino, il suo gattino.  
La poesia è allegorica e metaforica.
Lubia è la vita innocente e pervicace. Lubia è la custode dei valori della famiglia,  è portatrice di  speranza per un  futuro migliore.
La gabbietta è, per il gattino di Lubia,  come l'arca di Noè, anch'essa simbolo di speranza e di continuità per le generazioni future.
In tempi ciechi, sul flutto di un diluvio di male, la salvezza è nelle mani innocenti ed ignare di una bimba.
 
Un'analogia:
 
Schindler’s List di  Steven Spielberg         
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Luigi Riccio

domenica 1 dicembre 2013

CANTO DEL POPOLO YUDDISH MESSO A MORTE

Margherite Yourcenar ha scritto che Dio è come una fiammella nelle nostre mani;  sta a noi non lasciarla spegnere.  Lo stesso vale per l'arte e la poesia.
La poesia, come la fede, è consolatoria.
La poesia non è solo un balsamo per l'animo,  è anche denuncia, invettiva, rappresenta la memoria storica di un popolo, come le altre forme d'arte.
Per questa ragione, durante la resistenza ebraica del ghetto di Varsavia, nel '43, i partigiani ebrei facevano fuggire e nascondevano i loro poeti. In quel momento drammatico della storia moderna, unico per le sue dimensioni apocalittiche, gli ebrei  del ghetto, assediati e affamati, in lotta per la loro sopravvivenza, tentarono di mettere in salvo Itzak Katzenelson, letterato, poeta e drammaturgo.
Ktzenelson non si salverà, come i suoi figli e la moglie, ma i suoi versi si; gli sopravviveranno come per miracolo, in modo romanzesco che sa anch'esso di poesia.
Scriverà in prigionia, nel campo di concentramento di Vittel, il "Canto del  popolo yiddish messo a morte", poi, prima di essere trasportato in un altro campo, ove sarà ucciso pochi giorni dopo insieme a suo figlio (nella foto), seppellirà i suoi versi accartocciandoli  in tre bottiglie; quindici canti di quindici strofe l'uno. Era il '44.
Verranno ritrovati  subito dopo la guerra "vicino all'uscita, a destra, al sesto palo che ha una spaccatura in mezzo, ai piedi di un albero", secondo le sue istruzioni.
Il Canto costituisce una delle tante testimonianze dell'orrore, rappresenta un monito doloroso, come il diario di Anna Frank; un lascito a quelli che verranno.                  
Ma i versi di Katzenelson sono anche l'emblema della forza vitale della poesia,  che nessuna miseria umana può annichilire e che, anzi, come le ginestre del Leopardi, spesso proprio nella distruzione e nella catastrofe trova il proprio humus.
Del resto, quante opere di ingegno e quante poesie si sono scritte in carcere: Campanella, Gramsci, Hikmet.
Mi piace ricordare, con infinita ammirazione, il poeta turco Nazim Hikmet che, imprigionato per dieci anni, in quanto comunista, dal regime di Ataturk, privato della carta e dell'occorrente     per    scrivere, componeva versi che faceva apprendere a memoria ai suoi compagni di cella, perché, una volta liberati, li trascrivessero per lui.
 
                                                                                   
                                                                                 
Amo dire i tuo nome, amo la sua pronuncia: Hanele. Amo
verso di te rivolgermi, dopo la Tua scomparsa, insieme alla mia gente.
Mi rispondi, mi offri lo sguardo dei tuoi occhi luminosi, il piccolo sorriso delle labbra, triste e buono
Amo chiamarti nel mio star da solo, nella mia solitudine ti chiedo: "Ti ricordi? 
                                                                                                         Itzak Katzenelson
 
Prendila sul serio (la vita)
ma sul serio a tal punto
che a settanta anni, ad esempio, pianterai degli ulivi

non perché restino ai tuoi figli
ma perché  non crederai alla morte
pur temendola
e la vita peserà di più sulla bilancia.
                                                        Nazin Hikmet
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Luigi Riccio

domenica 10 novembre 2013

UNA POESIA PER L'AUTUNNO

 
RITMO D'AUTUNNO

A Manuel Angeles                                                                         

Amarezza d'oro del paesaggio.
Il cuore ascolta.
Nell'umida tristezza
il vento disse:
-Sono tutto di stelle liquefatte,
sangue dell'infinito.
Col mio attrito metto a nudo i colori                                                      
dei fondali addormentati.
Me ne vado ferito da mistici sguardi,
e porto i sospiri
in bolle invisibili di sangue
verso il trionfo sereno                                                                          
dell'amore immortale pieno di Notte.                                                 
I bambini mi conoscono,
e mi riempio di tristezza.
Per le fiabe di regine e di castelli
sono coppa di luce. Sono turibolo
di splendidi canti
che scesero avvolti in azzurre
trasparenze di ritmo.
Nella mia anima si persero
solenni corpo ed anima di Cristo,
e fingo la tristezza della sera
freddo e malinconico
il bosco innumerabile.
Porto le caravelle dei sogni
verso l'ignoto.
E ho l'amarezza solitaria
di non sapere la mia fine e il mio destino.
Le parole del vento erano dolci,
con profondità di gigli.
Il mio cuore si addormentò nella tristezza
del crepuscolo.
Sulla scura terra della steppa
i vermi dissero i loro deliri.
-Sopportiamo tristezze
ai margini della strada.
Sappiamo dei fiori dei boschi,
del canto monocorde dei grilli,
della lira senza corde che tocchiamo,
del sentiero nascosto che seguiamo.
Il nostro ideale non arriva alle stelle,
è sereno, semplice.
Vorremmo fare miele, come api,
e avere una voce dolce o un grido forte,
o camminare tranquilli sulle erbe,
o allattare con seni i nostri figli.
Beati quelli che nascono farfalle
o hanno luce di luna nel vestito.
Beati quelli che potano la rosa
e raccolgono il grano!
Beati quelli che non temono la morte
perché hanno il Paradiso,
e l'aria che corre dietro a ciò che vuole
certa d'infinito!

 
                                       
                      - II -

Beati i gloriosi e i forti,                                                                                    quelli che non furono compatiti mai,
quelli che frate Francesco esultando
benedisse e rallegrò.
Sopportiamo grande pena
per le strade.
Vorremmo sapere quello che ci dicono
i gattici del fiume.
E nella muta tristezza della sera
la polvere della strada gli rispose:
-Beati voi, vermi, che avete
coscienza giusta di voi stessi,
e forme e passioni
e focolari accesi.
Io mi dissolvo nel sole
seguendo il pellegrino,
e quando penso ormai di restare nella luce
cado a terra addormentata.
I vermi piansero, e gli alberi,
agitando le loro teste pensierose,
dissero: - E' impossibile l'azzurro.
Da bambini credevamo di raggiungerlo,
e vorremmo essere come le aquile
ora che siamo colpiti dal fulmine.
L'azzurro è tutto delle aquile. -
E l'aquila di lontano:
-No, non è mio!
Perché l'azzurro è delle stelle
là tra splendori luminosi-,
E le stelle: -Neanche noi lo abbiamo:
sta nascosto tra di noi.-
E la scura distanza: -L'azzurro
è nel regno della speranza.-
E la speranza dice sottovoce
dal suo regno oscuro:
-Voi altri mi inventate, cuori.-
E il cuore:
-Dio mio!
L'autunno ha lasciato senza foglie
i gattici del fiume


                             - III -                                                                            

L'acqua ha addormentato nell'argento vecchiola polvere della strada
I vermi sonnolenti scendono
nei loro freddi focolari.
L'aquila si perde sulla montagna;
il vento dice: -Sono ritmo eterno.
Si sentono le ninne nanne nelle culle povere,
e il pianto del gregge nell'ovile.
La tristezza umida del paesaggio
mostra come un giglio
le rughe severe che lasciarono
gli occhi pensierosi dei secoli.
E mentre riposano le stelle
nell'azzurro addormentato,
e il mio cuore vede lontano il suo ideale
e implora:
-Dio mio!
Ma, Dio mio a chi?
Chi è Dio mio?
Perchè la nostra speranza si addormenta
e sentiamo la poetica delusione
e gli occhi si chiudono abbracciando
tutto l'azzurro?
Voglio lanciare il mio grido
sul vecchio paesaggio e il fumante focolare,
piangendo di me come il verme
deplora il suo destino,
e implorando quello dell'uomo, amore immenso
e azzurro come i gattici del fiume.
Azzurro di cuori e forza,                                                                           
l'azzurro di me stesso
che m'offra tra le mani la grande chiave
che violi l'infinito,
senza terrore e paura della morte,
brillante d'amore e poesia
anche se il fulmine mi colpisce come un albero                            
e mi lascia senza foglie e senza grido.
Ora ho sulla fronte rose bianche
e la coppa trabocca di vino.


  
                                            §§§                                     

Lorca è sicuramente il poeta che amo di più, forse anche perché l'ho scoperto quando ero molto giovane, credo a quattordici anni. A quell'età, ancor privi di esperienza e di cultura, si è dotati di una  tale dose di sensibilità che, il verso, la parola, l'immagine, ti trafiggono come il raggio di sole di Quasimodo.
Leggendo Garcia  Lorca, sin dai primi versi, il lettore perde il contatto con il reale (che poi il reale è solo percezione soggettiva) e si trova in un mondo surreale ove il vento, il mare, i pesci, la luna e le stelle dialogano, cantano, piangono. Il vento satiro solleva le sottane delle ragazze, la luna conduce i bambini per mano.
La poesia di Lorca trabocca di forza vitale e di sanguigna sensualità, quella del poeta stesso che l'amico Pablo Neruda così descrive :
"non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina ,aveva un’allegria centrifuga, una felicità di vivere, una luce che raccoglieva in  seno e la irradiava agli altri, come fanno i pianeti…. "
Ma la sua vitalità immaginifica deve costantemente misurarsi con il male di vivere, così l'allegrezza si alterna  alla profonda tristezza...... "la tristezza che ebbe la sua coraggiosa allegria".
Ritmo d'autunno bene rappresenta la poesia di Lorca, vi è dentro tutto il suo mondo, per noi inanimato e materiale, per Garcia vivo e disperato; e tutti questi esseri della terra, del mare e del cielo (anima mundi) sono alla ricerca della grande chiave che violi l'infinito, senza terrore e paura della morte.

Luigi Riccio
                                                                                        Disegno di Lorca
 
                                    


 
 

 
 
 
 

 
 

 


Salvator Dalì e Garcia Lorca



                                                    












Quadro di Dalì ( in fondo a destra il ritratto di Lorca)